
Chi consuma olio di oliva vive più a lungo.
Lo diceva il fisiologo statunitense Ancel Keys quando ha stilato i principi della dieta mediterranea e lo ribadisce una recente ricerca del suo conterraneo Dan Buettner che ha recensito i luoghi in cui vive il maggior numero di centenari.
Nonostante ciò, l’olio d’oliva fa parte dell’alimentazione di un numero limitato di paesi che, a loro volta, non investono abbastanza per promuovere le sue importanti proprietà. Di conseguenza, i consumatori non sono incoraggiati a dare il giusto valore al prodotto e si accontentano di usare oli scadenti.
Se a questo aggiungiamo gli effetti causati da alcune recenti vicende come il drastico calo della produzione relativa al 2016 (e quindi il rincaro dei prezzi) e lo scandalo del “finto” olio d’oliva che continua a lasciare strascichi, non si può negare che il settore stia incontrando diverse difficoltà.
Eppure è un alimento cosiddetto “salvavita” che, in quanto tale, va preservato con tutte le forze.
1- Quando le persone dimenticano di morire
All’inizio degli anni ’50 Ancel Keys capì che la salute dell’uomo era direttamente legata alla loro alimentazione. Notò infatti che un elevato colesterolo nel sangue aumentava la possibilità di infarto.
A partire da questo, negli anni ’60 Keys, insieme ad altri studiosi, studiò come si alimentava la popolazione di alcune aree geografiche in cui l’aspettativa di vita era tra le più alte del mondo, con la conseguente minor incidenza di malattie correlate alla dieta (problemi cardiovascolari e ictus su tutti).
Furono definiti così i principi della cosiddetta dieta mediterranea (www.ladietamediterranea.eu/category/ancel-keys) nella quale l’olio di oliva risulta essere l’unico grasso insaturo (www.focus.it/natura/perche-gli-acidi-grassi-saturi-fanno-male)
utilizzato comunemente. Non è infatti un caso che la dieta mediterranea sia diffusa nelle aree del Mediterraneo dove vengono tradizionalmente coltivati gli olivi (soprattutto Italia, Marocco, Grecia e Spagna).
Più di cinquant’anni dopo, una nuova ricerca sembra riconfermare la validità di queste tesi. Il poliedrico Dan Buettner, giornalista di National Geographic diventato uomo d’affari e scrittore di grande successo (www.nationalgeographic.com/explorers/bios/dan-buettner), dopo anni di ricerche supportate anche da numerosi esperti, ha pubblicato nel 2015 il testo The Blue Zones Solution: The Revolutionary Plan To Eat And Live Your Way to Lifelong Health. Il testo spiega che cosa sono le cosiddette “zone blu” definendole come le parti del mondo in cui vive la più alta percentuale di persone centenarie e in cui si è rilevata la maggiore aspettativa di vita (www.bluezones.com).
Nel testo Buttner descrive lo stile di vita delle popolazioni più longeve. Pur rilevando, e sottolineando furbescamente, come una sana attività sessuale, delle buone relazioni sociali e il riposino pomeridiano diminuiscano le malattie cardiovascolari e incentivino il benessere fisico, l’autore sottolinea come l’alimentazione sia l’aspetto principale di cui tenere conto.
Tra le aree prese in considerazione nel libro ha un posto di rilievo l’isola greca di Ikaria. Essa è definita “l’isola in cui le persone dimenticano di morire” poichè la sua popolazione vive fino ad otto anni in più della media con un bassissimo tasso di casi di demenza senile.
Inutile dire che a Ikaria le persone si alimentano secondo una variante della dieta mediterranea in cui, tra le altre cose, l’olio d’oliva la fa ancora da padrone.
2- Vari aspetti della crisi dell’olio d’oliva
Nonostante ciò le statistiche dicono che il mercato di tutti gli oli di oliva rappresenta solo il 4% di tutti gli oli e grassi per uso alimentare, anche se la domanda dell’olio di oliva aumenta dal 3 al 5% l’anno. Nonostante le sue qualità nutrizionali e l’abbinamento alla dieta mediterranea ne facciano un alimento quasi indispensabile, questo elisir di lunga vita è particolarmente apprezzato negli stessi paesi in cui è prodotto, rendendo il suo mercato piuttosto rigido (l’Italia è il paese che ne consuma di più seguito dalla Spagna).
Se ciò non bastasse, una brusca frenata nelle esportazioni, soprattutto verso gli Stati Uniti, è stata causata dallo scandalo portato alla luce dal New York Times nel 2014. L’inchiesta mostra come una considerevole quantità di olio di oliva venduto come “italiano” sia d’importazione straniera (proveniente principalmente da Spagna, Tunisia e Marocco), o venga ancor peggio adulterato da olio di soia o di semi raffinati importati.
Se i contraccolpi di questa crisi sono stati in gran parte superati soprattutto grazie all’importanza delle sue qualità benefiche, è ancora incerta la modalità con cui si affronterà la crisi della produzione dell’olio d’oliva nel 2016, dovuta sia a delle sfortunate condizioni climatiche, sia ad una particolare malattia parassitaria.
I numeri sono chiari. Un patrimonio, come quello italiano, che conta 250 milioni di piante, garantisce impiego di manodopera per 50 milioni di giornate lavorative all’anno e un fatturato di 3 miliardi di euro all’anno, ha visto nel 2016 un crollo della produzione di -35% mentre i prezzi sono ovviamente in salita.
E qui viene il bello.
3- Se si assaggia un buon olio non si torna più indietro
La domanda é: fino a quanto i consumatori abituali di olio d’oliva sono disposti a spendere per continuare a metterlo sulla propria tavola?
Quello che è certo è che se siamo abituati a spendere cifre astronomiche per una buona bottiglia di vino, riconoscendone il valore e i costi di produzione, ma non facciamo lo stesso con l’olio d’oliva.
Olio e vino sono prodotti da secoli nelle stesse regioni e la qualità di entrambi è determinata dalle modalità di produzione, dalla varietà dei frutti e dal terreno. L’unica differenza è che l’olio, a differenza del nettare degli dei, non migliora la propria qualità col passare del tempo. Il tipico olio extra vergine di oliva mantiene la propria classificazione per appena un anno dalla spremitura.
Per il resto, anche la produzione dell’olio è costosa e poiché la maggior parte degli uliveti in Europa risulta di piccola o media dimensione, è sempre più difficile per i piccoli produttori competere sul mercato.
In alcune zone l’andamento incerto del settore ha condotto principalmente a tre soluzioni:
1- in alcune aree gli ulivi più antichi, soprattutto perché crescono in zone terrazzate e obbligano i contadini a raccogliere le olive a mano, sono stati sostituiti da ulivi più giovani, piantati in zone più pianeggianti che consentono la raccolta meccanizzata;
2- in altri casi, purtroppo, le coltivazioni di ulivi sono state sostituite da vigneti che, al momento, permettono un reddito maggiore.
Ma mentre alcuni produttori si sono arresi, è invece interessante capire come altri abbiano saputo continuare a produrre olio pur vendendolo ad un prezzo maggiorato. E arriviamo alla soluzione numero 3, che risulta essere il trend più incoraggiante.
L’orientamento che sta avendo più successo in Europa prevede un ritorno all’aspetto artigianale della coltivazione dell’ulivo e della sua produzione, accompagnato da una buona strategia di marketing attraverso la quale si spiega al consumatore il valore e le qualità reali dell’olio che consumerà.
Maggior concentrazione sulla qualità che sulla quantità, quindi, e attenzione al compratore.
Questi produttori si pongono come obiettivo quello di educare il cliente affinché riesca a riconoscere la qualità e il valore dell’olio che usa. E giurano che una volta che se ne assaggia uno di veramente buono non si torna più indietro.
Come si fa a riconoscerlo? Beh, prima di tutto bisogna assaggiarlo da solo, come si fa con il vino. Dicono che debba risultare piuttosto amaro, che la bocca debba sentirsi pulita dopo averlo bevuto e che la lingua dovrebbe iniziare immediatamente a produrre saliva. E se si beve dell’olio extravergine si dovrebbe sentire una sensazione di bruciore in gola.
Provare non costa niente no?
4- L’ulivo: una pianta quasi immortale
Gli alberi di ulivo hanno una resistenza quasi titanica, una forza vitale che li rende quasi immortali. Nonostante gli inverni rigidi e le estati torride, nonostante le potature, essi continuano a crescere orgogliosi e forti, protesi verso il cielo, portando frutti che nutrono, guariscono, ispirano e stupiscono. Esso, inoltre, simbolo di abbondanza, gloria e pace, ha dato i suoi rami con foglie a incoronare i vittoriosi nei giochi amichevoli e nelle guerre sanguinose.
L’olio dei suoi frutti è stato non solo un semplice cibo per le genti del mediterraneo: è stato un medicinale, un’infinita sorgente di fascinazione e meraviglia, di grande ricchezza e potenza.
La sua forza naturale e simbolica, che viene sottolineata dalla sua storia gloriosa, oggi viene messa in discussione dalle leggi di mercato, dai cambiamenti climatici e dai principi del facile guadagno.
Forse è arrivato il momento di fare un passo indietro, tutti. Sia chi produce l’olio di oliva e sia chi lo compra.
E mettere al centro lui. Per preservarlo, rispettarlo, esaltarlo.
Un contadino mi disse una volta che solo chi sale sull’albero può capire il prezzo dei suoi frutti.
E allora un consiglio: allunghiamo il braccio e tocchiamo le olive. Capiremo così quanto vale il loro succo.